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Lo sfruttamento del lavoro coatto.
Il lavoro coatto imposto agli ebrei tedeschi, non è mai stato organizzato per fini economici o per sfruttamento della manodopera, ma piuttosto come una forma di vessazione nei loro confronti. In Polonia invece, l’alta presenza di ebrei polacchi ne facilita fin da subito il loro sfruttamento. Oltremodo, bisogna tenere conto che in Polonia sono gli ebrei, i lavoratori qualificati e la loro professionalità è insostituibile.
Come detto precedentemente, in Polonia le misure contro gli ebrei sono applicate con maggiore crudeltà e brutalità, rispetto alla precedente esperienza avvenuta in Germania.
Gli 800.000 ebrei tedeschi e austriaci sono stati trattati, fino a questo momento, in maniera diversa rispetto a quanto riservato ai 2.500.000 di ebrei polacchi.
Il lavoro coatto.
L’inizio della guerra in Polonia provoca un forte aumento della disoccupazione. La vita economica è completamente disorganizzata: si contano 2.150.000 disoccupati, mentre il caos generalizzato coinvolge direttamente 6.420.000 persone, compresi i senza lavoro e le loro famiglie.
Per i tedeschi lo spettacolo di migliaia di ebrei vaganti senza occupazione è uno scandalo. Fin dalle prime settimane, sia le autorità militari sia quelle civili radunano gli ebrei nelle strade e li impiegano nello sgombero delle macerie, nella rimozione della neve, ecc.
Il capo delle SS del Governatorato Generale, Friedrich Wilhelm Krüger il 2 dicembre 1939 autorizza gli Judenrat1 ad organizzare contingenti di lavoratori, istituzionalizzando le operazioni di lavoro coatto.
Ormai, tutte le amministrazioni che necessitano di manodopera possono presentare le loro richieste alle Judenrat o direttamente ad una qualsiasi delle autorità tedesche.
Un giornalista tedesco, testimone oculare, all’epoca scrive2: “Nel Governatorato Generale, oggi si possono vedere squadre di Ebrei avviarsi nei campi, il badile sulle spalle, senza nessuna scorta tedesca ed è sempre un ebreo che comanda il gruppo”. Il governatore generale Hans Frank, accreditandolo come un proprio successo afferma con orgoglio3: “Gli ebrei lavorano molto bene, ci mettono dell’impegno … i nostri ebrei orientali sono dei lavoratori”.
In realtà questi lavoratori sono raramente pagati dall’autorità tedesca, anzi quest’ultima, delega i Consigli Ebraici alla copertura del costo dei loro stipendi. Le Judenrat a loro volta, per poter pagare i lavoratori, sono costrette a tassare gli ebrei disposti a pagare per non lavorare, esentandoli dal lavoro obbligatorio.
I primi campi di lavoro polacchi.
La prima forma di utilizzo del lavoro coatto ebraico, risponde solo alle esigenze dei lavori urgenti effettuati giorno per giorno. Lentamente, si sviluppa una seconda nuova organizzazione del lavoro obbligatorio a carattere più stabile: quella dei campi di lavoro.
I campi di lavoro sono creati in vista di utilizzare gli Ebrei in massa e per la realizzazione di opere di grande portata. Lo sa bene Heinrich Himmler che nel 1940 propone di creare due enormi campi a Plaszow e Belzec. Servono a scavare un grande fossato anticarro tra il fiume Bug ed il San.
Dopo questa esperienza, il territorio finisce per essere disseminato di campi. È un fiorire di opere di canalizzazione, rifacimenti della rete ferroviaria e fossati anticarro. In seguito, alcune imprese industriali installano veri e propri processi di lavorazione e parallelamente si creano nuovi campi in prossimità delle grandi industrie.
I lavori nei campi sono massacranti, ammassati in locali sovraffollati, gli uomini dormono anche per terra. Non vengono distribuiti abiti e quanto al cibo consiste solo in un pezzo di pane, una brodaglia, patate, margarina e scarti di carne. Lavorando 7 giorni su 7, dall’alba al tramonto, gli ebrei crollano fisicamente. Un sopravvissuto racconta che anche nei campi più piccoli, di circa 400 o 500 lavoratori, si contano circa una dozzina di morti al giorno.
Dato che i campi forniscono lavoratori a buon mercato, la burocrazia non si preoccupa affatto di rispedire gli ebrei nei loro ghetti una volta terminato il progetto e molti tra essi non torneranno mai nella loro comunità.
Il lavoro coatto nei ghetti.
La terza forma di sfruttamento del lavoro coatto avviene all’interno dei ghetti stessi. Le imprese private, sono spinte ad assumere manodopera nei ghetti con la promessa di ottenere una forte diminuzione dei costi. Ma le imprese private, però non si precipitano immediatamente su questa opportunità.
Nel 1940 è troppa l’incertezza determinata dagli improvvisi mutamenti causati dalle SS. Gli operai ebrei sono continuamente distolti dal loro lavoro per svolgere altre mansioni. Si dà priorità all’insorgere delle necessità militari, agli spostamenti di confine o altro ancora, senza parlare dello sfinimento di lavoratori a causa della fame.
Agli inizi del 1942, una volta stabilizzato il meccanismo economico instaurato dai tedeschi, i ghetti sono una fonte importante di manodopera per le imprese tedesche. Nel solo ghetto di Varsavia, ad esempio, il tasso di occupazione arriva al 50% della popolazione. Secondo i calcoli degli economisti del Governatorato Generale, il ghetto tocca in tal modo il livello per il quale, in via teorica, sarebbe in grado di assicurarsi la sussistenza4. Purtroppo, questa cosa non avverrà mai in quanto inizierà la deportazione dei suoi abitanti.
I clienti principali dell’imprese del ghetto sono l’esercito, gli uffici delle SS e della polizia. Tuttavia, con il tempo, l’esercito diventa il primo acquirente e trasforma i ghetti polacchi in parte integrante dell’economia di guerra, fatto che porrà seri problemi all’epoca delle deportazioni. I tedeschi, infatti, si troveranno a dipendere in una certa misura da ciò che la forza lavoro coatto ebrea produce.
Paradossalmente, gli ebrei diventano lavoratori indispensabili per l’economia di guerra. Si diffonde così l’illusione che per sopravvivere si debba lavorare. Un ebreo che vuole rimanere in vita deve essere uno schiavo indispensabile, ma anche questa illusione sarà purtroppo distrutta dalla successiva liquidazione dei ghetti.