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Razzismo e fascismo le origini1
Nei primi anni del regime il razzismo non è argomento ideologicamente determinante per il fascismo e la sua politica, questo almeno fino al 1927.
Infatti la prima indicazione in tal senso si intravede nel cosiddetto “Discorso dell’Ascensione”, pronunciato in Parlamento da Benito Mussolini il 26 maggio 1927, dove il Duce enuncia i futuri indirizzi della politica sociale fascista.
Mussolini, da tempo, ritiene indispensabile stimolare la crescita demografica italiana. L’obbiettivo è l’aumento della produzione agraria e un freno all’urbanizzazione, conseguenza dell’emigrazione dalla campagna verso la città.
Nella visione di Mussolini il contadino è il simbolo di un’Italia laboriosa e frugale. Per il regime l’integrità della popolazione italiana passa attraverso la salvaguardia delle sue radici contadine e delle sue tradizioni rurali. Tra il 1931 e il 1939 la legislazione fascista tenterà di limitare l’esodo dalle campagne, ma otterrà solo modesti risultati.
Sul versante della crescita demografica, il regime ha già messo in campo provvedimenti legislativi atti a premiare le giovani coppie e a penalizzare i celibi con un’imposta: la tassa colpisce tutti gli uomini non sposati dai venticinque ai sessantacinque anni.
Mussolini durante il “Discorso dell’Ascensione” afferma: “Ho approfittato di questa tassa per dare una frustata demografica alla nazione. Questo vi può sorprendere; qualcuno di voi può dire: «Ma come, ce n’era bisogno?» Ce n’è bisogno.”.
Nel settembre 1928 viene pubblicato un articolo, sulla rivista “Gerarchia” dal titolo emblematico “Numero come forza”. E’ firmato dallo stesso Mussolini, la cui parola d’ordine è “curare la razza, a cominciare dalla maternità e dall’infanzia”. Il declino della fecondità è inquadrato come un problema di salute pubblica razziale e come segnale della decadenza morale della Nazione.
“Gerarchia” 1938 – “Numero come forza”
Gerarchia_Numero_e_forzaLa colonizzazione dell’Africa e il razzismo fascista
Il processo di colonizzazione dell’Africa, già iniziato in Libia dal 1911 e proseguito con il fascismo, segna la transizione più marcata verso una nuova fase del razzismo, anche se è con la conquista dell’Etiopia, nel maggio del 1936, che il regime potrà esprimere appieno la sua impostazione razzista.
L’attacco a uno Stato membro della Società delle Nazioni provoca l’applicazione all’Italia di sanzioni commerciali, che permettono a Mussolini di presentarsi al Paese come vittima di un’aggressione invece che aggressore in una guerra coloniale2.
La guerra d’Etiopia è giustificata dai giornali come una necessità vitale per l’Italia, a causa dell’eccesso di popolazione rispetto alle effettive capacità produttive del paese. In realtà la guerra è un’espansione coloniale, con la quale Mussolini intende accrescere la potenza e il prestigio dell’Italia.
In Etiopia il razzismo fascista incontra immediatamente i primi problemi. Bisogna arginare il contatto promiscuo degli italiani con la popolazione indigena africana ed evitare il rischio del “meticciato”. Il regime fascista desidera fondare un nuovo modello di colonialismo nelle nuove terre conquistate.
Le colonie devono divenire l’Italia d’oltremare, dove gli emigranti italiani possono portare in Africa la propria civiltà assimilando le popolazioni locali secondo il modello imperiale dell’antica Roma.
Mussolini da fermo mandato di applicare il massimo rigore nella selezione degli aspiranti coloni rispetto alle loro qualità politiche, morali, familiari e condizioni sanitarie per consentire la creazione di una popolazione civile sana, vitale e feconda, capace di svilupparsi secondo il modello delle virtù civili degli antichi romani.
Il maggior afflusso di italiani nelle colonie africane si registrerà dal 1935 al 1941 in Africa orientale e fino al 1943 in Libia.
Madamato e meticciato nelle colonie africane
Prima della proclamazione dell’impero i rapporti fra colonizzatori e colonizzati non sono incoraggiati, ma in qualche modo tollerati: sono ad esempio accettati i rapporti di “madamato”3.
I rapporti di “madamato” sono accettati perché funzionali al contenimento della diffusione delle malattie a trasmissione sessuale e sono facilmente rescindibili. Teoricamente è anche possibile il rilascio della cittadinanza italiana ai meticci in possesso di cultura italiana.
A tal proposito dobbiamo ricordare che Indro Montanelli, volontario in Abissinia, racconterà di avere regolarmente acquistato una “moglie” dodicenne a Saganeiti, assieme a un cavallo e un fucile, il tutto a 500 lire.
Con la creazione dell’impero la situazione cambia e il fascismo pone maggiore enfasi sulle differenze razziali, il razzismo diventa uno scudo contro la minaccia che indebolisce il dominio dei colonizzatori e mina la loro integrità antropologica. Il bianco che stabilisce una relazione coniugale con un’indigena appare perduto per la propria razza.
Il meticcio e la sua immagine stereotipata sono il bersaglio simbolico e reale, attorno al quale costruire il nuovo corso del razzismo coloniale fascista. Esse accompagneranno ogni discorso di propaganda fin dai primi opuscoli per i lavoratori che durante la guerra si trasferiranno nella colonia4.
Inasprimento delle leggi razziali nelle colonie africane
La “Legge 6 luglio 1933, n. 999 o Legge organica per l’Eritrea e la Somalia”, ammette la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana per il meticcio, a salvaguardia della sua parte bianca, non prima di avere compiuto indagini relative alla ricerca della razza.
Come detto precedentemente la creazione dell’impero cambia immediatamente le carte in tavola e con il “R.D.L. 19 aprile 1937, n. 880 convertito con modificazioni dalla Legge 30 dicembre 1937, n. 2590” si vieta definitivamente il madamato e si proibisce la relazione di indole coniugale tra un cittadino italiano e un suddito dell’AOI (Africa Orientale Italiana). La legge dispone la pena della reclusione da uno a cinque anni per il cittadino italiano sul presupposto che, essendo di razza superiore, sia da addebitare a lui (o a lei) la colpa della trasgressione. La norma colpisce le convivenze aventi carattere di stabilità ritenendo che da esse, piuttosto che da rapporti puramente occasionali, derivi una lesione alla integrità della razza.
Le leggi razziali nelle colonie africane si inaspriscono ulteriormente
Dopo le leggi razziali contro i cittadini ebrei del 1938 il regime intensifica gli interventi legislativi in Africa.
La “Legge 29 giugno 1939, n. 1004 Sanzioni penali per la difesa del prestigio di razza di fronte ai nativi dell’Africa italiana” vieta definitivamente il matrimonio con individui di razza camitica, semitica e altre razze non ariane. Successivi decreti vieteranno la frequentazione dei quartieri e dei pubblici esercizi indigeni e ordineranno l’espropriazione dei fabbricati contigui alle abitazioni dei dominatori.
È introdotto il reato di lesione del prestigio della razza, comprendente i matrimoni misti e la frequentazione di persone e locali indigeni. Sono inoltre inasprite le pene comuni quando il reato comporti un abbassamento del prestigio della razza.
La “Legge 13 maggio 1940, n. 822, Norme relative ai meticci”, abolisce la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana per gli abitanti indigeni e meticci dell’AOI.
“La difesa della razza italiana” la propaganda fascista della razza
Il regime fascista è perfettamente consapevole, che la normativa da sola non può ottenere quel consenso ampio e quella collaborazione popolare, sia in patria sia nelle colonie. Essa, infatti, per quanto restrittiva nell’esercizio dei diritti e prescrittiva nella severità delle pene, non costituisce una barriera ideologica e psicologica profonda, di matrice razzista, alle relazioni interculturali e sociali con le popolazioni indigene o di razza inferiore.
Per ottenere una convinzione profonda e radicata è necessaria solo con una adeguata “educazione” capace di formare un intero popolo di ariani dominatori.
A tal proposito il fascismo non si lascia sfuggire alcuna occasione per somministrare continue dosi di razzismo attraverso tutti i canali della propria propaganda. Lo fa in modo particolare attraverso la stampa.
Nasce così nel 1938 la rivista “La difesa della razza” che si caratterizza per una palese aggressività comunicativa, sia nell’utilizzo delle immagini, sia attraverso i titoli dei suoi articoli.
Nel primo numero (1938, n. 1) appare il titolo “I bastardi”, nel quale si accompagna il testo con immagini sgradevoli dei “frutti dell’immondo ibridismo” e del “rovinoso antirazzismo” riferito ai francesi, seguiranno “L’incrocio con gli africani è un attentato contro la civiltà europea” (1938, n. 6), “Il prestigio della razza è la salvaguardia dell’Impero” (1938, n. 5), “I bastardi di Rehobot” (1940, n. 10), “Il problema dei meticci in Europa” (1941, n.1), “Il meticciato delitto contro Dio” (1941, n. 8).
Ovviamente il seme del razzismo sarà sparso dal fascismo con altri mezzi di propaganda diretta e indiretta. Verranno naturalmente utilizzate le scuole di ogni ordine e grado, il cinema e la radio, la cartellonistica, la pubblicità, la musica, i discorsi pubblici e i prodotti di consumo utilizzati dall’intera società.
“La difesa della razza” 1938, n.1 – “I bastardi”
Difesa-della-razza_I-bastardi“La difesa della razza” 1940, n.10
Difesa-della-razza_1940_00010- Le informazioni di questo testo sono state rielaborate da un importante lavoro di documentazione, raccolta in un saggio sul “Manifesto degli scienziati razzisti del 14 luglio 1938”, a cura del servizio Studi, Documentazione e Biblioteca del Quirinale. ↩︎
- Opera Omnia di Benito Mussolini, a cura di E. e D. Susmel, vol. XXVII ↩︎
- Si intende una relazione more uxorio fra un colono italiano e una donna indigena, che nonostante la temporaneità è caratterizzata da una certa stabilità ed esclusività. ↩︎
- Benevelli, La psichiatria coloniale italiana negli anni dell’Impero (1936-1941), Biblioteca di antropologia medica, 7, Corte dell’Idume (Le), Argo, 2010, pp. 34-35. ↩︎