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Il problema del tifo petecchiale nei campi di concentramento e nei campi di battaglia.
Il tifo petecchiale, noto anche come tifo esantematico, è molto diffuso nei campi di concentramento. E’ una malattia trasmessa all’uomo attraverso la puntura del pidocchio. Essa si manifesta con la comparsa di macchioline rosse sulla pelle, al centro delle quali si trova una petecchia, un punto emorragico.
Che il tifo petecchiale in era pre-antibiotica sia un grave problema è noto e che, in tempo di guerra nelle trincee e nelle caserme, costituisca un pericolo costante lo si è constatato durante il primo conflitto mondiale.
Per questo motivo i vertici nazisti hanno la consapevolezza che una epidemia di tifo possa mettere in crisi uno o più settori dei fronti aperti ad est con l’URSS e in Europa centro-meridionale nella penisola balcanica.
La “Sezione di Studio del tifo esantematico”
Il 29 dicembre del 1941 si svolgono due riunioni di rilievo presso il Ministero dell’Interno a Berlino.
La prima riunione vede attorno al tavolo il Segretario di Stato per la Salute, Leonardo Conti, il responsabile del servizio sanitario militare, Handloser, il presidente dell’Ufficio di Sanità Pubblica del Reich, professor Reiter, il professore Eugen Gildemeister, il capo dell’Istituto di Igiene delle SS, Mrugowsky, il rappresentante dell’azienda farmaceutica IG Farben (Bayer), Dr. Demnitz, e il vice ministro dell’Interno, Linden.
Durante questa riunione, si delibera la creazione della “Sezione di Studio del tifo esantematico”, la cui direzione viene affidata a un giovane e ambizioso medico delle SS dott. Erwin Ding-Schuler.
Nella sottodivisione dei compiti alla IG Farben viene assegnato il compito di costruire uno stabilimento a Lemberg dove produrre il vaccino. Inoltre, si decide che questo sarà oggetto di sperimentazione sugli
internati di Buchenwald. Ding-Schuler dovrà collaborare con il medico SS dott. Waldemair Hoven nella sperimentazione.
La seconda riunione, di natura pratica, coinvolge alcuni funzionari: il dott. Bieber, vice di Linden al Ministero dell’Interno, il dott. Scholz, vice di Handloser, il professore Gildemeister, due medici del territorio occupato, e tre rappresentanti dell’azienda farmaceutica Behring, che sta sperimentando un vaccino. Si decide che anche il nuovo vaccino Behring sarà testato a Buchenwald.
Ovviamente, i “soggetti” su cui compiere gli esperimenti dovranno essere uomini e donne detenuti nel campo.
I diari di Ding-Schuler
Le sperimentazioni svolte a Buchenwald da Erwin Ding-Schuler sono documentate in due diari: uno privato ed uno di lavoro. Mentre il primo andrà perduto, il secondo ci è rimasto. Si tratta di un diario di lavoro che Ding-Schuler detta ad Eugen Kogon, un prigioniero ebreo austriaco che gli fa da segretario. Ogni pagina scritta da Kogon è controfirmata da Ding-Schuler. La prima annotazione risale al 29 dicembre 1941:
“poiché gli esperimenti sugli animali si sono rivelati di valore insufficiente si è deciso di condurre altri test su esseri umani”.
La seconda annotazione è del 2 gennaio 1942:
“Il campo di Buchenwald è stato scelto per testare i vaccini del tifo petecchiale. L’Hauptsturmführer Ding-Schuler è stato incaricato di condurre gli esperimenti”
Il lavoro di Ding-Schuler si svolge a Buchenwald, nei Blocchi 46 e 50, seguendo una tabella di marcia preparata dal professor Gildemeister. I gruppi di studio sono formati da circa un centinaio di prigionieri per volta. Tutti i prigionieri sono infettati con colture di virus, ma mentre una parte viene trattata con diversi tipi di vaccino da sperimentare, un gruppo “di controllo” non viene vaccinato.
I risultati degli studi sul tifo petecchiale nei campi di concentramento sono deludenti
I risultati ottenuti da questa sperimentazione non sono minimamente incoraggianti.
Nel maggio 1943, dopo un anno di lavoro, Ding-Schuler si presenta a Berlino per un incontro del Consiglio dei Medici della Wehrmacht.
Il “protocollo di ricerca” redatto dal prof. Gildemeister prevede di infettare contemporaneamente, con un ceppo di Rickettsia prowazekii (microrganismi morti), centinaia di deportati. Mentre una parte più consistente, pari a 392 persone è vaccinata con 16 diversi tipi di vaccino, una parte meno consistente 89 deportati non è vaccinata.
Il risultato è sorprendente, il numero maggiore di morti si registra tra gli individui vaccinati e in ogni caso, nessuno dei 16 diversi vaccini ha funzionato. Un fallimento totale.
A questo punto Ding-Schuler tenta di stabilire se sia più efficace somministrare il vaccino per via endovenosa o per via sottocutanea. L’esperimento conduce alla morte di altri 19 prigionieri, senza che si possa stabilire nulla.
Durante la riunione, il professor Gerhard Rose trova la forza di criticare l’uso dei deportati per effettuare le sperimentazioni, ma Leonardo Conti chiude immediatamente la questione affermando:
“Un piccolo numero di esseri umani, comunque destinati alla morte in altro modo come criminali o prigionieri, può benissimo sacrificarsi per salvare centinaia di migliaia di persone”.
Tuttavia, l’insuccesso di Ding-Schuler è destinato a scatenare una vera e propria gara tra i medici tedeschi per riuscire a trovare un vaccino efficace.
Gli esperimenti a Struthof-Natzweiler
Il tifo petecchiale rimane un problema di sanità militare molto grave ed altri medici nazisti vedono in quei lugubri anni l’opportunità di fare esperimenti su cavie umane.
Il dott. Eugen Haagen dell’Università di Strasburgo a partire dall’estate del 1943 si cimenta in un analogo progetto di vaccinazioni.
Gli esperimenti sono praticati nel campo di concentramento di Struthof-Natzweiler su di un primo gruppo di deportati “non in salute” poi, nel novembre del ’43, Haagen ne ottenne altri 100 in “buone” condizioni fisiche.
I test di Haagen prevedono, a differenza di Ding-Schuler, l’utilizzo di germi vivi, in questo caso lo stimolo immunogeno più potente consentirebbe, nelle intenzioni pseudoscientifiche di Haagen, di utilizzare vaccini più efficaci.
Il primo esperimento conduce alla morte 29 deportati.
Viene allora preso in considerazione un altro vaccino, proposto da Gerhard Rose, prodotto dall’Istituto Sierologico di Stato di Copenaghen.
Questo prodotto viene testato su circa 30 zingari, ma anche in questo caso il risultato è fallimentare. Non solo il vaccino risulta inefficace, ma si registrano più morti tra i vaccinati, rispetto ai non vaccinati e inoltre il vaccino presenta gravi effetti collaterali.
L’inutile crudeltà di Haagen
Nonostante gli insuccessi dei primi esperimenti, la crudeltà di Haagen raggiunge il massimo livello quando tenta di stabilire, in maniera cronometrica, il quadro evolutivo della patologia.
Infetta 25 prigionieri polacchi con germi vivi, poi questi deportati sono uccisi in diversi stadi della malattia. E’ inutile ribadire che anche in questo caso si tratta di una inutile crudeltà.
Il percorso criminale del dott. Haagen non è ancora giunto al capolinea. Testa un altro vaccino “essiccato” su 80 deportati e in questo caso i decessi assommano a 29.
Sarà difficile stabilire se questi pazienti muoiano per gli effetti collaterali o per il tifo.
Purtroppo nonostante gli insuccessi, ancora nel maggio del 1944 il dott. Haagen ottiene altri 200 deportati per proseguire il suo delirante esperimento.
Gli interessi di Bayer e IG Farben negli esperimenti sul tifo nei petecchiale campi di concentramento
La Bayer e la IG Farben si impegnano e si compromettono in sperimentazioni di due prodotti: il granulato di acridina e il rutenol.
Le sperimentazioni sono condotte, come al solito diligentemente, ad Auschwitz, dal dott. Helmut Vetter.
Gli effetti collaterali, per ammissione dello stesso medico sperimentatore sono disastrosi in quanto i prigionieri accusano vomito ripetuto quando il farmaco è somministrato a dosi modeste (0,25 mg), ma con dosi più elevate si conclamano quadri patologici molto più gravi: nefriti, broncopolmoniti, flemmoni cutanei, edema del laringe, emorragie intestinali.
Visto l’insuccesso, gli esperimenti sono ripetuti a Buchenwald, riportando risultati sostanzialmente analoghi. Hanno un tasso di mortalità, tra gli infettati e successivamente trattati con il rutenol, del 56%, mentre con l’acridina si attestano sul 53%.
Complessivamente questi pseudo esperimenti causano la morte di 62 deportati.
Nella sua follia Helmut Vetter è anche convinto che il rutenol possa essere utilizzato come farmaco antitubercolare, come si evince da una sua corrispondenza con la casa farmaceutica Bayer.